giovedì 31 gennaio 2008

SALUTE: STUDIO CATTOLICA, PIU' RISCHI EPATITE E HIV IN CARCERE

(AGI) - Roma, 31 gen. - All'interno delle carceri italiane la
percentuale di malati contemporaneamente di epatite B, epatite
C e HIV e' piu' elevata che fra la popolazione normale, ed e'
associata allo stato di tossicodipendenza e a quello di
tabagismo. Questi risultati, non del tutto sorprendenti, che
confermano la denuncia lanciata nei giorni scorsi dal Gfk
Eurisko, emergono dall'approfondito studio condotto su un
migliaio di detenuti di sesso maschile nelle carceri del basso
Lazio (Frosinone, Cassino, Latina) da un gruppo di ricercatori
dell'Istituto di Igiene e dell'Istituto di Medicina Interna
dell'Universita' Cattolica di Roma, e dell'Universita' di
Cassino, pubblicato di recente dalla rivista internazionale BMC
Infectious Diseases. Secondo i dati ricavati dalle carceri del
sud del Lazio, che riguardano le cartelle cliniche di tutti i
carcerati fra il 1995 e il 2000, la coinfezione fra HIV ed
epatite C riguardava il 4% dei casi, quella fra epatite B e C
il 18% dei casi e quella fra HIV e epatite B il 3% dei casi. "I
risultati sono in piena sintonia con quanto denunciato nei
giorni scorsi dalla Societa' italiana di medicina e sanita'
penitenziaria, anche se non sono sorprendenti", spiega
l'epidemiologo Giuseppe La Torre, primo autore dell'articolo.
"Si tratta infatti di una popolazione molto particolare,
formata per la meta' da tossicodipendenti - e questo stesso e'
un dato molto significativo. Inoltre la popolazione carceraria
presenta solitamente un livello socioeconomico piuttosto basso
e infine in Italia rispetto agli altri Paesi in generale si
trova una piu' elevata incidenza di sieropositivita' fra gli
eroinomani". "Lo studio", spiega ancora l'internista Antonio
Grieco, "oltre alla ovvia correlazione con la
tossicodipendenza, ha analizzato anche gli altri fattori di
rischio che sono piu' spesso associati a queste infezioni, come
lo stato civile e la nazionalita'". Per quanto riguarda la
prevenzione, sottolinea Grieco, "e' evidente che bisogna
migliorare la qualita' della vita nel carcere, riducendo i
fattori di promiscuita' e rischio, favorendo l'igiene e i
sistemi di controllo, nonche' combattendo il sovraffollamento".
Ma i ricercatori dell'Universita' Cattolica hanno in mente
anche un altro obiettivo scientifico, da perseguire in prossime
ricerche. "In molti servizi sanitari carcerari", racconta
infatti La Torre, "sierotipizzano il virus dell'epatite C per
ottimizzare la terapia. La sierotipizzazione comporta
l'individuazione del ceppo del virus che ha infettato il
paziente. Considerato che esistono moltissime varianti del
virus dell'epatite C, andarle a studiare in popolazioni
selezionate, come quella carceraria, aggiungera' moltissimo
alla nostra conoscenza dell'epidemiologia dell'infezione
sostenuta da questo virus".

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